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martedì 10 settembre 2013

Come lo Stato spende senza causare inflazione

Recessione ed eccessi di prelievo fiscale
Estorcere denaro dal contribuente, carpire una dichiarazione dei redditi e sottrarre, con la forza e con l'inganno, sostanze alle famiglie e alle imprese, può essere visto come uno stratagemma per consentire al governo di uno Stato di procedere con la spesa pubblica senza causare inflazione. Quando una parte del nostro reddito è evaporato in imposte e tasse, rimaniamo in condizioni di acquistare meno prodotti e servizi rispetto a quelli che sono disponibili sul mercato interno e di cui avremmo bisogno. Quella parte di prodotti/servizi di cui avremmo bisogno ma che non possiamo più comprare, possono essere acquistati dal governo dello Stato senza che il totale della spesa (quella nostra, privata, e quella dello Stato, pubblica) sia superiore al totale dei prodotti e servizi messi a disposizione dall'offerta, in un dato momento,  in un dato sistema economico. Tuttavia, se il governo dello Stato estorce troppo denaro dal contribuente dissanguato, per far fronte alle spese dello Stato, la spesa complessiva non è sufficiente per assicurare che il totale dei prodotti e servizi offerti venga assorbito dalla domanda.

Se, più avanti, non si vende ciò che si produce, si iniziano a perdere posti di lavoro; da ciò, dalla disoccupazione, deriva una minore capacità di spesa che, a sua volta, comporta un ulteriore calo di vendite dal quale consegue un ulteriore aumento di disoccupazione e l'economia entra in una spirale discendente che chiamiamo comunemente recessione.

Spesa pubblica (sociale) o spesa militare?
Il governo dello Stato fa queste cose, per fornire le infrastrutture pubbliche. La cosiddetta "spesa pubblica", comprende, soprattutto e prima di tutto, le spese militari, le spese per la distruzione delle vite umane, delle risorse, della ricchezza prodotta, che non deve essere distribuita, e per la "guerra". Secondariamente, le spese riguardano anche il mantenimento dell'apparato burocratico e militare dello Stato. Per il giusto ammontare della spesa pubblica, che dobbiamo presumere sia necessaria per gestire la nazione, quanto elevate dovrebbero essere le imposte? Il "giusto" ammontare della spesa pubblica ha a che fare con decisioni politiche, e di politica economica, che, se intese nella maniera corretta, non hanno niente a che vedere con le finanze dello Stato. (Vedi la spiegazione di Warren Mosler sulla copertura finanziaria della spesa pubblica). Il costo reale per gestire l'apparato dello Stato è il costo reale dei beni reali e dei servizi reali che l'apparato impiega (le ore lavorate, i carburanti, i materiali, l'energia elettrica, l'acciaio, la fibra di carbone, gli hard drive, eccetera) e che, altrimenti, sarebbero offerti alla domanda privata e metterebbero a disposizione di famiglie ed imprese maggiori quantità di beni e di servizi, arricchendo ed accrescendo l'economia e la popolazione. E così, quando lo Stato assorbe una gran parte di risorse per gli scopi propri di chi gestisce i burattini ai governi, restano ben pochi beni e servizi ad arricchire il resto della società e i cittadini di quello Stato.

Il sistema monetario dello Stato è solo uno strumento
Per esempio, dato il costo reale delle forze armate che si vogliono ordinate della "dimensione e misura giusta", con un sufficiente numero di donne e di uomini armati e pronti ad uccidere, un cospicuo numero di lavoratori, ingegneri, tecnici, sindacalisti, "contoterzisti", che lavorano per i complessi dell'industria militare, dei carri armati, delle navi da guerra e dell'industria aerospaziale, rimangono pochi lavoratori impegnati a produrre beni e servizi utili all'accrescimento della ricchezza dei beni disponibili sul pianeta. Si produrrà meno cibo, meno automobili, meno medicina, meno case, e meno tante altre cose di cui le creature umane hanno più bisogno per sopravvivere degnamente. E allora bisogna prima decidere la "grandezza" delle infrastrutture pubbliche che si vogliono realizzare, ragionando onestamente sul rapporto fra costi e benefici, e non sulla questione della copertura finanziaria, che è una presa per il culo. Dopodiché, il sistema monetario è solo lo strumento che possiamo usare per realizzare i nostri reali obiettivi politici ed economici. Dopo aver deciso cosa dobbiamo spendere per avere un apparato statale delle dimensioni che abbiamo stabilito precedentemente, possiamo aggiustare i livelli dell'imposizione fiscale in modo tale da poter avere, tutti, abbastanza potere d'acquisto per comprare cosa è rimasto disponibile dal lato della domanda interna dopo gli acquisti di beni e servizi fatti con la spesa pubblica.

Imposte che prelevino una percentuale inferiore di ricchezza

In generale, dovremmo aspettarci che le imposte prelevino dalle tasche dei già oltraggiati e dissanguati contribuenti, una percentuale di ricchezza inferiore rispetto alla proporzione della spesa pubblica. Infatti, per esempio, Warren Mosler, quando  spiega la moderna meccanica monetaria - la cosiddetta MMT - prevede che un disavanzo di bilancio del 5% sul prodotto interno lordo, possa essere la norma; e, nel sistema attuale degli Stati Uniti d'America, secondo lui, ammonterebbe a 750 miliardi di dollari all'anno. In ogni caso quel numero lo dà senza attribuirgli troppa importanza; potrebbe essere superiore o inferiore a seconda delle circostanze. Ciò che conta per Mosler è chiarire che lo scopo di imposte e tasse (le quali imposte e tasse, secondo la rigorosa scuola empirica del prof. Giacinto Auriti, sono altresì prive di fondamento giuridico, dato che la caduta del diritto tributario discende come prima conseguenza dalla dimostrazione del valore indotto della moneta) è quello di bilanciare l'economia, facendo in modo che non soffra di accelerazioni di crescita troppo brusche o di rallentamenti troppo drammatici.

Aumentare la spesa pubblica o diminuire l'oppressione fiscale
E perciò, non si vorrebbe mai aumentare la dimensione dell'apparato dello Stato per aiutare l'economia a superare un rallentamento della crescita. Perché, è vero che aumentando la spesa pubblica, durante una fase di recessione o di rallentamento della crescita, si aggiustano i numeri; ma è altresì vero che si ottiene un risultato molto più produttivo con la dovuta e proporzionale riduzione d'imposte, tasse e tributi, tanto ampia da consentire il ripristino della spesa privata fino alla grandezza di spesa desiderata.

Imposizione fiscale: atto intimidatorio per forzare il valore indotto della moneta

La spiegazione di Mosler sbatte contro la rigorosa disciplina empirica della moneta e del credito del professor Giacinto Auriti, il quale, purtroppo, ci ha lasciati nel 2006, perché sostiene che, in assenza di tassazione, in assenza di estorsione forzosa di tributi, imposte e tasse da parte dello Stato, i cittadini non avrebbero alcuna motivazione (indotta con la forza, la minaccia, il ricatto e l'inganno) ad accettare quella specifica moneta come mezzo di scambio; e ciò forse non contraddice neppure la tesi del prof. Auriti; infatti, il valore indotto (il valore convenzionale) si ha nel momento dell'accettazione della specifica moneta come mezzo di scambio, da parte di chi la usa; ma cosa spinge i cittadini ad accettare un mezzo di scambo piuttosto che un altro, in assenza di controvalore in riserva aurea ovvero in assenza di taglieggiamento fiscale? E allora possiamo concludere che, secondo la lucida analisi di Mosler, tributi, imposte e tasse, servono, più che a regolare l'economia, ad assicurare il valore indotto della moneta nominale, che è assolutamente priva di valore intrinseco, quantomeno dal 1971, data in cui è stato unilateralmente abolito dal burattino Nixon il cosiddetto Gold Standard; e cioè, in definitiva, ad obbligare i cittadini ad accettare con il ricatto, la minaccia e la frode, una moneta di corso legale forzoso che potrebbe diversamente non accettare; soprattutto, considerando le condizioni di usura sistematicamente imposte dal sistema creditizio che vengono giù a cascata, direttamente, dal sistema delle banche centrali degli stati e dalla banca centrale del mondo. Mosler sostiene esplicitamente che:

"nulla verrebbe neppure offerto in vendita in cambio della moneta nominale"


in assenza del taglieggiamento fiscale che ne impone il corso "legale" forzoso.