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domenica 30 giugno 2013

Società offshore e meccanismi elusivi


Negli ultimi anni la creazione di società offshore, compagnie nominali, filiali, succursali, fiduciarie, trust e altri tipi di compagnie ad hoc è cresciuta enormemente, soprattutto nei cosiddetti rifugi fiscali. Gli studi di consulenza legale e finanziaria e le grandi banche d'affari sono fondamentali per assistere le imprese nelle loro operazioni con le holding che han sede nei paradisi fiscali; oltre a ciò, sono anche utili  per permettere e facilitare manovre volte alla ridistribuzione e possibilmente alla riduzione dei carichi fiscali, talvolta all’elusione, se non alla vera e propria evasione fiscale.

Le società offshore crescono ad un ritmo di 150 mila all'anno
Secondo l’Economist, nel 1990 le imprese multinazionali erano 37 mila con 175 mila filiali (ovvero un rapporto di meno di 5 filiali per impresa). Nel 2003, queste cifre erano cresciute rispettivamente a 64 mila e 875 mila (con un rapporto cresciuto a oltre 13 filiali per impresa). Al momento del fallimento la Enron aveva 692 compagnie registrate nelle sole Isole Cayman. Secondo il Senato degli USA sarebbero necessari dieci anni di indagini per districare la matassa societaria messa su dalla stessa Enron.
Le compagnie offshore vengono create a un ritmo di 150 mila l’anno, e sono a milioni in tutto il mondo. Questo senza contare organismi quali i trust offshore e le fondazioni che non hanno obbligo di registrazione e sui quali non c’è modo di fornire una stima.

Il meccanismo dell'operazione offshore nei paradisi fiscali


Produzione già "delocalizzata"
Ecco un esempio semplice sul principio e sul meccanismo che rende conveniente costituire una società in un paradiso fiscale per una moltitudine di operazioni: una multinazionale con sede in un Paese occidentale (per esempio l'Italia) produce parti per l'elettronica. Ovviamente, data l'insostenibile e ingiustificata pressione fiscale italiana, la produzione delle parti avviene materialmente in un Paese che promuove gli investimenti stranieri (in Cina Popolare), ad un costo di 10 dollari, mentre il prodotto finito viene venduto in Italia e all'estero per 100 dollari.

Transazione diretta
Se il passaggio avvenisse direttamente dalla Cina Popolare all'Italia, l’impresa dovrebbe pagare le imposte (e ricordiamo che la pressione fiscale sulle imprese in Italia è del 68%) sui profitti, che sono previste dall'ordinamento fiscale in Italia (in questo caso, per semplificare e trascurando gli altri costi, su 100 – 10 = 90 dollari). 


Ma se l'impresa ha una sede estera..
L’impresa costituisce però una filiale in un paradiso fiscale (Hong Kong, per esempio, che è certamente il centro finanziario offshore più sicuro e meglio organizzato, ma potrebbe benissimo essere un altro rifugio fiscale tropicale, come Samoa o le Seychelles). A questo punto la ditta in Cina Popolare vende alla filiale di Hong Kong la sua produzione per 10 dollari. La filiale in Hong Kong rivende a sua volta alla casa madre in Italia per 100 dollari. Questo significa che il profitto di 90 dollari è stato realizzato nel paradiso fiscale di Hong Kong, dove non esiste una tassazione dei profitti derivanti da transazioni avvenute fuori la ristretta area Hong Kong SAR. La casa madre in Italia compra dalla filiale in Hong Kong e rivende le parti di prodotto al suo compratore finale sempre a 101 dollari, realizzando un utile imponibile di 1 dollaro, e pagando le imposte su quel dollaro.

Non necessariamente una filiale estera..
Naturalmente, questo esempio varrebbe benissimo anche qualora l'impresa italiana non avesse una propria filiale in Cina Popolare ma acquistasse direttamente dai suoi fornitori (solitamente produttori che lavorano in conto terzi). Infatti, l'azienda Italiana non dovrebbe far altro che aprirsi una società in Hong Kong SAR (una società leggerissima e a costi fissi annui irrisori), acquistare dai suoi fornitori a 10 dollari, attraverso la propria società di Hong Kong, pagare i 10 dollari, attraverso la propria azienda di Hong Kong, e dipoi fatturare all'impresa italiana (cioè alla propria impresa) i 100 dollari di cui si diceva di sopra. La ditta italiana potrebbe anche fatturare direttamente i 100 dollari alla sua cliente italiana usando la sua ditta di Hong Kong e far consegnare direttamente la merce a destino, attraverso la costituzione e l'intermediazione della sua società di Hong Kong, senza dover far muovere alcuna persona fisica dalla sede Italiana.

Razionalizzare le passività aziendali con la società estera

La costituzione di Società estere si utilizza essenzialmente per razionalizzare l'attività dell' impresa, talvolta anche sfruttando i vantaggi della cosiddetta "delocalizzazione" territoriale; il sistema contributivo Italiano, e il costo del lavoro estremamente gravoso per le aziende italiane, ha comportato la necessità di razionalizzare le passività aziendali, utilizzando anche la rete internet come sistema di scambio di informazioni per poter dislocare sedi aziendali in diverse aree del pianeta.

Protezione beni patrimoniali e pianificazione fiscale
È quindi abbastanza frequente la decisione degli imprenditori avveduti di costituire una società estera per poter razionalizzare alcuni dei processi rispetto a quelli sostenuti in Italia. La costituzione di società estere viene anche utilizzata per proteggere le proprietà immobiliari e i beni patrimoniali delle imprese italiane; le società offshore divengono destinatarie di "attività" immobiliari; le azioni delle società offshore vengono poi destinate in Trust per la tutela del patrimonio. La costituzione di società estere è inoltre utilizzata per la pianificazione fiscale; attraverso la tematica del transfer pricing assume un ruolo strategico per le società multinazionali ed allo stesso tempo costituisce un aspetto di particolare criticità per le nazioni in cui le singole società sono ubicate. È ben frequente, infatti,  che, in un'ottica di riduzione del carico fiscale di un intero gruppo multinazionale con filiali in diverse aree del pianeta, l’imponibile venga concentrato nei paesi con i regimi fiscali meno oppressivi, che vengono comunemente indicati come "paradisi fiscali”.

Il cosiddetto Transfer pricing
Quando si dice transfer pricing, comunemente in economia si intende il controllo dei corrispettivi applicati alle operazioni commerciali e/o finanziarie intercorse tra società collegate e/o controllate residenti in nazioni diverse, al fine di verificare che non vi siano aggiustamenti "artificiali" di tali prezzi. Infatti, nell'ambito dei rapporti tra le società estere del gruppo, potrebbe trovare applicazione una certa procedura elusiva; per esempio: la società A, con sede in una nazione come l'Italia, in cui vige un'opprimente e insostenibile pressione fiscale, acquista beni e servizi dalla consorella, la società B, ubicata in un paese a basso livello di imposizione fiscale (come nell'esempio si vuole essere Hong Kong; nella realtà Hong Kong SAR ha un'imposizione fiscale addirittura pari a zero per tutti i redditi prodotti da transazioni che non abbiano luogo direttamente nel mercato interno di Hong Kong SAR). Con lo scopo di concentrare il più possibile l'utile di esercizio nello stato con minore pressione fiscale (a Hong Kong SAR, quindi, nell'esempio qui voluto) la società multinazionale A, con sede in Italia, potrebbe fissare un prezzo di vendita dei beni e/o servizi della società B molto elevato, in modo da far concentrare i profitti nel paese con la minima pressione fiscale (in modo cioè di concentrare i profitti della società del gruppo che ha sede a Hong Kong SAR) e, nel contempo, si otterrebbe che il corrispettivo di riferimento non lasciasse spazio ad alcun margine di ricavo per la società A nell'ipotesi di rivendita di quanto acquistato dalla consorella. Attraverso questo semplice meccanismo, quindi, i prezzi delle transazioni fra le società del gruppo verrebbero determinati da esigenze gestionali del gruppo, esigenze organizzative e tributarie, e non dalle generali condizioni di mercato.

1) I Paradisi Fiscali e le società off-shore
Le società off-shore;
I Paradisi Fiscali;
le IBC (International business companies);
compagine sociale e all'amministrazione, nelle International Business company (IBC);

2) il segreto bancario;
il basso il livello dell'imposizione fiscale diretta ed indiretta;
i "paradisi" valutari;
l'assistenza giudiziaria ad organi inquirenti esteri;

3) Disciplina dei paradisi fiscali
Esame delle discipline giuridiche societarie, valutarie, fiscali, bancarie;
Non vi è una disciplina specifica italiana dei c.d. paradisi fiscali;
le black list recanti l'indicazione di Stati off-shore presentano elencazioni ben eterogenee;
l'elenco di paesi a fiscalità agevolata (d.m. 24.4.92);
Di per sé i centri off shore sono perfettamente leciti e offrono vantaggiose opportunità;

4) Centri finanziari offshore
I centri finanziari offshore operano come società che svolgono attività bancaria e finanziaria;
l'uso di centri finanziari off-shore è diverso nei casi di spostamenti di capitali all'estero per conseguire vantaggi fiscali;
i gruppi multinazionali articolati in holding e caratterizzati da sofisticati sistemi di partecipazione.

giovedì 27 giugno 2013

Paradisi Fiscali Terrestri ma Extraterritoriali

Paradiso terrestre o paradiso fiscale extraterritoriale?
Prendendo spunto dall'articolo titolato "Del paradiso terrestre: possidenti fiorenti ma esenti", si osserva anche qui che, pur non esistendo prove sull'esistenza dell'inferno e dei personaggi pittoreschi delle novelle bibliche, i paradisi fiscali esistono. E sono tutti terrestri. Se lasciamo per un giorno da parte l'articolata letteratura sui cosiddetti "paradisi fiscali"delle isole tropicali, tutta grassa, perlomeno per metà, di grandi coglionerie, interpretazioni soggettive, e oggettivamente errate, dovremmo finire per notare che abbiamo davanti agli occhi un'altra categoria di paradisi fiscali: i paradisi fiscali terrestri, extraterritoriali.
I paradisi fiscali extraterritoriali della Terra sono tre; sono città-stato che non appartengono a nessuno stato e non pagano nessun'imposta a nessun tiranno. Essi sono:

Washington DC
(DC sta per District of Columbia) - che non fa parte né della città di Washington e né degli Stati Uniti d'America - ,

la City di Londra, che non è parte né di Londra e né del Regno Unito, e
Città del Vaticano - che non è né parte di Roma né parte dell'Italia - .
Questi tre paradisi fiscali terrestri-extraterritoriali, sono città-stato con il proprio territorio, la propria bandiera, la propria identità, i propri cittadini e il proprio ordinamento giuridico. Se prendiamo il paradiso fiscale del Vaticano, per un primo esempio, osserviamo che ha i suoi organi di stampa ufficiali, le sue radio, le sue televisioni, la sua bandiera, i suoi cittadini, le sue forze armate, svizzere, e le sue prigioni.


Nella basilica di San Pietro, fra i tanti complicati affreschi, c'è l'immagine di dio, quella che è stata ufficialmente approvata dal Vaticano e che fu dipinta dal Michelangelo. Si tratta di un vecchio indiavolato, con la barba lunga e grigia; è un dio sulle nuvole come lo avevamo immaginato da piccoli, ma più dinamico, più furioso e molto più severo, che si dimena in cielo come stesse facendo surf, che lancia anatemi precisi ai suoi servi e gravissime esecrazioni a tutti i peccatori. Coloro che fossero tanto imprudenti da disubbidire ai suoi comandamenti, sarebbero condannati alla dannazione perpetua; anziché andare al paradiso terrestre, sarebbero spediti direttamente all'inferno, o al purgatorio, attraverso un'operazione triangolare coordinata dalla direzione del paradiso terrestre del Vaticano. E le conseguenze appaiono agli ospiti assai raccapriccianti.

Gli schiavi disubbidienti verrebbero assegnati alle cure di instancabili fustigatori, e dovrebbero poi andare a subire supplizi spaventosi per un periodo di tempo indeterminato, doloroso, orripilante e lungo, tanto quanto è lunga l'eternità, se esiste. E il committente è lo stesso dio che proclama di amare i suoi servi, dalla sua comoda poltrona presso il paradiso fiscale extraterritoriale del Vaticano, mentre essi si ammazzano di fatica e riversano i pochi frutti all'erario. Dio e i suoi aguzzini manipolano i loro sudditi suggestionati come fossero alienisti in un grande manicomio; si prendono i loro beni, condizionano le loro vite, ascoltano i loro segreti in confessionale e poi si prendono i loro figli, mandandoli a morire in guerra o sotto i fanghi, i maremoti e gli altri disastri naturali che sono sempre loro a causare. Dio è un campione di omicidio; infatti, è quello che ammazza più di tutti, perciò è quello che ha più potere di tutti. Naturalmente è un dio che usa qualche gioco di prestigio, qualche trucco, per suggestionare le teste vuote dei suoi servi, ubriachi del proprio delirio di fede, e prende sempre certe strade misteriose che non sono comprensibili per le persone ignoranti; è il "mistero della fede", quello che non si chiarisce mai; è il cammino difficile al quale si devono avvezzare gli schiavi, perché "diverso è il regno dei cieli", visto che nessuno sa dov'è. Diverso, immateriale e assolutamente  astratto. Mentre nel paradiso fiscale terreno, extraterritoriale, i beni sono assai tangibili e chi li ammassa e li amministra, almeno per il breve periodo della sua lunghissima vita terrena, può sentirsi a ragione l'uomo più ricco del mondo. Ma l'organizzazione, l'ordine, e il suo potere terreno è necessario che sopravvivano la breve durata della lunghissima vita dei loro papi e dei loro amministratori. Deve durare altri millenni, continuando a sfruttare la credulità popolare, frodando tutto il mondo religioso, anche quello apparentemente concorrente alla chiesa di Roma. Ed è tanto un'organizzazione potente quanto rimane in grado di durare oltre la vita dei suoi re (o papi) e che sia sempre in grado di nominare i loro successori.


Le immagini crudeli e violente delle torture dei dannati e del figlio di dio, Gesù Cristo, (che era poi un successore di Giulio Cesare e ne conserva ancora le iniziali) sofferenti, sanguinanti e morenti, con chiodi infilati nelle mani e nei piedi, corone di spine che deturpano i volti, sono in bella mostra in tutto il vaticano e farebbero invidiare il museo delle torture e degli orrori. Sono immagini che ricordano a tutti i fanciulli innocenti che dio consentì la tortura e l'omicidio del proprio figlio, per salvare le anime degli esseri umani - anime che non si sapeva cosa fossero e dove fossero - che sono tutti nati peccatori. Ed è vero che sono nati peccatori. Sono peccatori recidivi d'ignoranza e di vanità. L'ignoranza è il loro primo peccato e la vanità è il secondo. A causa di questa loro ignoranza e vanità essi sono fatti schiavi ed infine oppressi. Il Vaticano, direttamente, e cioè attraverso l'opera propagandistica dei suoi pedagoghi ordinati presso il paradiso fiscale terreno del Vaticano, governa e orienta le vite di almeno due miliardi di persone. Gli altri li comanda attraverso le sue diramazioni segrete, che controllano tutte le altre religioni, compreso l'islam.

Le colossali ricchezze terrene del paradiso fiscale terreno del Vaticano comprendono giganteschi investimenti fatti in cooperazione con i Rothschild, la "corona" del Regno Unito e degli Stati Uniti d'America, e con vasti conglomerati dell'industria del petrolio e degli armamenti, come Shell e General Electric. Le immense proprietà in lingotti d'oro del Vaticano sono custodite presso le banche controllate dai Rothschild: The Bank of England e La Federal Reserve Bank. Secondo alcuni ricercatori ben avveduti, il Vaticano è il più grande potere finanziario, accumulatore di ricchezza e possidente di proprietà in esistenza. Ed è proprio per questo che non deve pagare imposte. L'oppressione fiscale deve dissanguare i lavoratori autonomi e la piccola e media impresa; le iniquità dell'erario, con le sue imposizioni arbitrarie, dirette e indirette, deve affliggere i lavoratori dipendenti, gli operai, i contadini, e anche i lavoratori precari, ai quali restano solo prestazioni occasionali, temporanee, non continuative e sottopagate. I ricchi veri non sono soggetti ad imposta; i ricchi veri sono coloro che l'imposta la esigono e la incassano. È questo il trucco fondamentale che la gente ignorante non vuole capire, perché il contribuente tipico preferisce disporsi prono e baciare l'anello del suo usurpatore, o aspettare che si affacci, per salutarlo come un divo del cinema. Il Vaticano possiede più beni materiali di ogni banca, corporazione e di ogni conglomerato finanziario in tutto il mondo.

Il papa, che è il sovrano visibile di questo colossale ammasso di ricchezza, è uno degli uomini più ricchi del mondo e non a caso risiede nel paradiso fiscale terreno per eccellenza. E, mentre due terzi del mondo vive con meno di due dollari di reddito al giorno, e un quinto del mondo muore letteralmente di fame, il Vaticano continua ad assorbire ricchezza dal mondo credulone, lucra investendola sui mercati della speculazione finanziaria, e, contemporaneamente, predica a proposito dell'arte del dare. Raccomanda ai fedeli di dare, di donare - soprattutto all'ordine di sé medesimo - di rinunciare, e propone per i dissanguati contribuenti la catarsi ascetica e penitenziale.

Ma come hanno fatti i papi e il Vaticano ad accumulare tutta quella ricchezza custodita nei paradisi fiscali terreni extraterritoriali? Parecchi esempi si possono trovare su questo articolo titolato Del paradiso terrestre: possidenti fiorenti ma esenti. Una delle tante tecniche consisteva e consiste nel raggiro della vendita per assoluzione. Molti Vescovi e chierici hanno marcato i peccati e le trasgressioni ai sacri comandamenti con prezzi da capogiro. Vendendo indulgenze essi hanno potuto rastrellare ricchezze di ogni tipo, per secoli, senza dover produrre, trasportare o commercializzare nemmeno un'ostia. I fedeli abboccavano, e pagavano per peccati che non avevano ancora commesso, comprando indulgenze pre-pagate per avere il perdono in anticipo sui peccati che non avevano ancora compiuto; quelli che non pagavano erano altresì destinati alla dannazione perpetua. Vendendo promesse d'indulgenza plenaria in nome d'altri, promesse assolutamente astratte e impossibili da mantenere, vendendo biglietti d'ingresso per il paradiso o per l'inferno, i bravi padri si sono arricchiti senza mai dover lavorare o senza mai dover fare qualcosa di utile anche per gli altri, o per il progresso e il benessere dei popoli che soggiogavano, con la loro bieca propaganda. L'impianto ideologico della chiesa di Roma, della sua inquisizione e del suo pericolosissimo ordine dei gesuiti, è una delle più grandi frodi perpetrate ai danni dell'umanità. Funziona certamente grazie alla propaganda ma, quando sorgono obiettori, le varie associazioni della chiesa di Roma mostrano di possedere potentissime capacità distruttive; riescono ad influenzare i soggetti in posizione chiave del potere e organizzano insurrezioni, guerre, stermini di massa, mettendo quel re contro quell'altro, quel popolo contro quell'altro e quella corrente religiosa contro quell'altra.

Il dio del paradiso fiscale terrestre è un dio onnisciente e onnipotente, un dio dotato di poteri straordinari, che dona l'arcobaleno ai nostri cieli; e però ha continuamente bisogno di denaro per le sue operazioni fruttifere, per i suoi investimenti all'estero, per le sue speculazioni in borsa valori e per ingrassare le sue casse, già pienissime, tenute al sicuro presso i paradisi fiscali terrestri; sono casse stracolme d'oro, di titoli di stato e d'altra roba preziosa sottratta ad altri, per millenni, con l'inganno, la violenza e la rapina. Come Città del Vaticano, anche la città-stato della City di Londra è un paradiso fiscale terrestre e gode di extraterritorialità rispetto agli obblighi fiscali del Regno Unito; ciè significa che non soffre dell'oppressione fiscale e che è, altresì, in regime di totale esenzione dall'obbligo di versare imposte o tributi all'erario. È un quartiere di Londra che non dipende dall’amministrazione comunale e si chiama City of London Corporation; ha un suo sindaco, un suo organo consiliare composto da 100 membri, suoi magistrati e sue forze dell’ordine. Diversamente dai cosiddetti "paradisi fiscali", i paradisi fiscali terrestri sono dei paradisi autentici, pieni d'oro, di gemme e di valori mobiliari. Sono paradisi che godono di extraterritorialità e che non pagano né imposte né tasse. 

Per chi desidera avere informazioni su come fare per costituire società offshore in paradisi fiscali, si veda: Costituzione Società Offshore in Paradisi fiscali.


lunedì 24 giugno 2013

Paradiso fiscale terrestre: possidenti fiorenti ma esenti

Come diventare straordinariamente ricchi senza lavorare e senza pagare né imposte né tasse. 

L’esempio più efficace su come si può rastrellare gigantesche ricchezze senza lavorare, e senza pagare né imposte né tasse, lo offre la chiesa di Roma, il Vaticano, e, al suo interno, il pericolosissimo ordine dei Gesuiti (Vedi: Patrimonio e reddito, esempi ieratici di accrescimento e conservazione). 


 Secondo la Guida delle Santissime istruzioni Segrete dei Gesuiti (1857), al capitolo primo, articolo V, bisogna essere “cauti nell’acquistare terreni“. E, specificatamente, i membri della società devono essere cauti quando..:

“…al loro primo insediamento…al fine che la nostra “povertà” possa diventare la più superficiale apparenza della realtà, fate che gli acquisti, adiacenti ai posti dove sono fondati i nostri collegi, siano assegnati dai provinciali a collegi distanti; con questi mezzi sarà impossibile che principi e magistrati possano mai pervenire a una conoscenza certa di quanto ammontino le entrate della Società“.


In altre parole, per non attirare l’attenzione dell’erario, si raccomanda, e anche molto prudentemente, d’intestare le proprietà a soci nominali di società costituite offshore, possibilmente distanti, e, assolutamente, operanti in regime di esenzione fiscale totale. (La costituzione di società offshore è strumentale anche ai fini della protezione dei beni patrimoniali; la società offshore, infatti, viene utilizzata come veicolo per la costituzione di trust e diviene destinataria di valori mobiliari e immobiliari).





Sulla scelta dei luoghi dove andare a predicare il sacrificio degli altri, gli uomini con le gonne hanno una direttiva precisa; bisogna scegliere città ricche da spolpare; all’art. VI della stessa guida si legge:


“Non permettere che altri posti all’infuori di opulente città vengano scelti dai nostri membri per fondare un collegio;..”
C’è qui una certa malizia esplicita e, del resto, andando avanti, il progetto dell’associazione è deferito attraverso comandamenti molto chiari e precisi; per esempio, il comando all’art. VII parla consapevolment di “estorsione“:


Lascia pure che le più grandi somme vengano estorte dalle vedove, grazie alle frequenti dimostrazioni delle nostre estreme necessità.”
L’articolo VIII è un inno alla gloria del segreto bancario, e alla privacy nei migliori paradisi fiscali, che deve essere tutelato, ma solo per i veri opulenti, per i veri ricchi; perché, per gli altri, per gli schiavi, non c’è che oppressione fiscale, delazione e rapina, fino a togliere loro la stessa facoltà di usare denaro contante negli scambi.




Leggi l’art. VIII, che dice chiaramente:


“In ogni provincia, non permettere a nessuno all’infuori del provinciale di venir pienamente a conoscenza del reale valore delle nostre entrate; e fai si che quanto è contenuto nel tesoro di Roma sia sempre difeso da un inviolabile segreto.”
Per comprendere bene la presa per il culo, millenaria, della propaganda religiosa della chiesa di Roma, la quale, attraverso le sue diramazioni segrete, controlla anche le religioni concorrenti, incluso l’islam, è bene dare un’occhiata anche al Capitolo II della guida di cui si parla di sopra. Esso contiene incitazioni a compiere molteplici atti fraudolenti, atti di corruttela, e dà indicazioni precise su come gli uomini in sottana devono comportarsi per “ruffianarsi” e raggirare: “nobili, principi, e altre persone di grande distinzione“. Per esempio, all’art. II si legge:
 

“L’esperienza prova che le persone ecclesiastiche ottengono un grande punto d’appoggio nel favore di principi e nobiluomini, mediante il ruffianarsi i loro vice, e mettendo un giudizio favorevole in qualunque cosa essi falliscano; e questo lo possiamo osservare nel loro contrarre matrimonio con parenti prossimi e affini, o simili. Deve essere nostro compito incoraggiare tutte le inclinazioni che vanno in questa direzione, inducendoli nella speranza, che attraverso la nostra assistenza essi potrebbero facilmente ottenere una dispensa dal Papa….”
e all’art. V:


“…particolare cura deve essere presa nel conseguire il favore degli scagnozzi e dei domestici dei principi e dei nobiluomini; a chi con piccoli presenti, e a molti uffici di pietà, noi possiamo tranquillamente influenzarli in modo da trasformarli in affidabili strumenti rivelatori dello stato degli umori e delle inclinazioni dei loro padroni…”
e al VII:


“Principesse e signore di qualità possono facilmente venir conquistate mediante l’influenza della donna delle loro camere da letto; per questa ragione dobbiamo con ogni mezzo usare particolare tatto per queste, in quanto in conseguenza di ciò non ci saranno altri segreti nella famiglia che quelli che ci saranno svelati.”
Il capitolo III si occupa del resto delle ricchezze prodotte da soggetti con l’industria, commercianti, artigiani, imprenditori della piccola e media impresa, che non appartengono alle categorie menzionate al capitolo II. Anche qui c’è d’arraffare con la frode, perché chi lavora produce e chi produce deve essere raggirato e alleggerito delle sue sostanze. Basta seguire con un minimo di diligenza le raccomandazioni e le istruzioni esplicite dei bravi padri con le sottanacce nere. Si applicano quindi tutti i comandamenti visti al capitolo II e si fa particolare attenzione ai soggetti industriosi della classe media, ideologicamente contrapposti ai nobili e ai ricchi, per utilizzarli talvolta come amministratori nominali; all’art. II si legge:


“…..noi possiamo privatamente fare uso dei loro nomi nell’ammassare beni temporali a beneficio 
della Società”.

Il lamento funebre è una delle migliori espressioni del parassitismo e della rapacità dei bravi padri con le gonnacce nere. Si legge al capitolo IV, (I punti capitali raccomandati ai predicatori e ai confessori di nobiluomini), che contiene altra istigazione a delinquere e, nella fattispecie, mediante il raggiro, l’alleggerimento delle sostanze dei parenti dei morti e con la frode fiscale l’erario territoriale; all’articolo VI, leggi:


“Immediatamente dopo la morte di qualunque persona del posto, fate che essi si premurino tempestivamente per ottenere qualche amico della nostra Società preferito nella sua stanza; ma ciò deve essere dissimulato con tale astuzia e gestione al fine di evitare di causare il più piccolo sospetto delle nostre intenzioni di usurpare l’autorità del principe; per questa ragione (come è stato già detto) noi stessi non dobbiamo apparire in quei posti, ma cogliere l’occasione della destrezza di alcuni affidabili amici per realizzare i nostri disegni, amici il cui potere può schermarli dall’invidia che potrebbe altrimenti pesantemente ricadere sulla Società”
 
E ancora, al capitolo VI, si insegna ai bravi padri confessori come trattare le vedove “allegre” le quali, godendo bene dei vantaggi della vita libertina di donne singole, devono perlomeno apparire in stato di vedovanza e vogliono fuggire le pene del purgatorio, nonostante le loro ricorrenti marachelle, pagando con denaro e anche in natura, giacendo con i bravi padri arrapati nelle loro camere da letto; leggi:


“Sui metodi propri atti ad indurre ricche vedove ad essere liberali (cioè larghe nel donare) nei confronti della nostra Società

I. Nel gestire queste faccende, scegliete soltanto membri in età avanzata, di aspetto vivo e allegro e dalla conversazione gradevole; fate che questi visitino frequentemente tali vedove, e quando esse iniziano a mostrare affetto nei confronti del nostro ordine, allora in quel momento si deve esporre davanti a loro le buone opere e i meriti della società. Se sembra che esse sono disponibili nel prestare orecchio a ciò, ed iniziano a visitare le nostre chiese, dobbiamo con tutti i mezzi aver cura di provvedere a fornire loro dei confessori con i quali esse possono venir ben ammonite, specialmente ai fini di promuovere la perseveranza nel loro stato di vedovanza, e questo, enumerando ed elogiando i vantaggi e la felicità di una vita da singola: e fate pure che esse diano in pegno la loro fiducia, e se stesse pure, come sicurezza che una ferma continuazione in tale pia risoluzione procurerà infallibilmente un merito eterno, e si proverà come il migliore mezzo effettivo per sfuggire agli altrimenti certi dolori del purgatorio.”

“Capitolo VII: Come simili vedove devono venir assicurate e in che maniera i loro effetti devono venir tolti.

I. Esse devono perpetuamente venir spinte a perseverare nella devozione alle buone opere, in una maniera tale, che non passi settimana in cui esse, di loro libero accordo, lascino qualcosa della loro abbondanza per l’onore di Cristo, della benedetta Vergine, o dei santi patroni; e fate che elargiscano in soccorso ai poveri, o per la beatificazione delle chiese, fino a che esse sono interamente spogliate delle loro superflue provviste e non necessarie ricchezze.”

“XIV. Fate che i confessori propongano e si sforzino di persuaderle a pagare piccole pensioni e contributi attraverso il supporto annuale di collegi e case professate, ma specialmente della professata casa a Roma; fate che non si dimentichino degli ornamenti delle chiese, delle candele, del vino, e delle cose necessarie alla celebrazione del sacrificio nella messa.”

“XV. Del caso in cui una vedova lasci in vita la sua intera proprietà alla Società; nel caso che l’occasione offra l’opportunità, ma specialmente quando essa venga presa dalla malattia, o in pericolo di vita, fate che qualcuno abbia cura di farle presente la povertà della maggior parte dei nostri collegi, molti dei quali che sono stati eretti, a malapena riescono a finanziarsi; promettete, con un comportamento convincente e producendo argomentazioni, che tale liberalità (a cui dovrete persuaderla) getterà le basi per la sua felicità eterna”.

Il termine “liberalità” qui indica generosità, munificenza, larghezza nel donare; non ha niente a che vedere con il concetto di libertà che richiede certo uno sforzo enorme per sbarazzare le menti ignoranti dalle frottole impiantate dalla propaganda cattolica e politica. I capitoli successivi istigano i bravi padri gesuiti, oltre ai reati di frode, alla frode fiscale, all’evasione fiscale e all’elusione fiscale. I bravi padri gesuiti hanno l’incarico di raccogliere ricchezza con l’estorsione; per configurare tale fattispecie di reato, infatti, sappiamo che è indispensabile l’elemento della minaccia; in questo caso si tratta della minaccia di un pericolo inesistente (la favola dell’inferno e del purgatorio) ma, se pure parliamo di sciocchezze assurde e fantastiche, esse costituiscono la minaccia di un pericolo percepito come reale da una mente suggestionabile; la mente del malato, l’atteggiamento mentale del debole, dell’afflitto e del morente (e anche più quello dell’ignorante) è sempre più suggestionabile e più suscettibile di conversione. Leggi sotto:


“XVI. La stessa arte deve essere usata con principi ed altri benefattori; a tal fine essi devono venir spinti a credere, che questi sono solo atti che perpetueranno il loro ricordo in questo mondo, ed assicurerà loro eterna gloria nell’aldilà.

Capitolo VIII: Come le vedove devono venir trattate, affinché esse abbraccino la religione, o una vita devota.


Capitolo IX: Sull’incremento delle entrate dei nostri collegi.

XV. Fate che i confessori visitino con costanza gli ammalati, ma in special modo tanto quanto si pensa possano essere in pericolo; e nel fatto che gli ecclesiastici e i membri degli altri ordini possono venir scartati con una buona pretesa, fate che i superiori prendano cura che quando il confessore è obbligato a ritirarsi, altri possono immediatamente succedergli, e mantenere la persona malata nelle sue buone intenzioni. In questo momento può essere consigliabile di smuoverla con l’apprensione per l’inferno, e almeno del purgatorio; e dirle, che quanto il fuoco viene estinto dall’acqua, così il peccato viene estinto dagli atti di carità; e che l’elemosina non può venir meglio concessa che per il nutrimento ed il supporto di coloro che per la loro vocazione professano il desiderio di promuovere la salvazione del loro prossimo.”
 
Grazie alla creatività criminale di questa associazione internazionale per delinquere dei gesuiti, è persino possibile comprare il perdono divino anche per i peccati d’altri:


“XVI. Per ultimo, fate che le donne che si lamentano dei vizi malati dei loro mariti, vengano istruite segretamente per sottrarre una somma di danaro, usando la quale per fare una offerta a Dio, esse possono espiare i crimini dei loro coniugi peccatori, ed assicurare il perdono per essi.”

Delle fazioni in guerra i cui capi contrapposti sono d’accordo.
Quando i rapporti con i sovrani non funzionano come dovrebbero, ovvero quando intervengono altri motivi di scazzo e di bisogno di rivalsa, si interviene mandando alla guerra un popolo contro l’altro, sollevando rivoluzioni e creando tutto il caos necessario a stancare i superstiti e a far cercar loro, nuovamente, la protezione del dio dei creduloni.



“VIII. Ma se le nostre speranze in ciò dovessero venir distrutte, e sotto la stretta della necessità, i nostri schemi politici devono astutamente variare, in accordo alle differenti situazioni nel tempo; e i principi, nostri intimi, che possiamo influenzare affinché seguano i nostri concili, devono essere spinti a farsi coinvolgere in vigorose guerre gli uni contro gli altri, con il fine, mediante il quale la nostra Società (come promotrice del bene universale nel mondo) può venir sollecitata da tutte le parti come assistente, e sempre venir impiegata come mediatrice tra dissensi pubblici; con questi mezzi i principali benefici e promozioni nella chiesa saranno a noi dati certamente come mezzo di compensazione per i nostri servigi.

IX. Per finire, la società deve tentare di realizzare questo, in quanto avendo ottenuto il favore dell’autorità e dei principi, coloro che non li amano almeno avranno timore di loro.”…

“Vi è stato insegnato di piantare insidiosamente le semi della gelosia e dell’odio tra gli stati che erano in pace, ed incitare essi ad atti di sangue, coinvolgendoli in guerra con ogni altro, e per creare rivoluzioni e guerre civili nelle comunità, province, e paesi che erano indipendenti e prosperosi, coltivando le arti e le scienze e godendo della benedizione della pace.……

“Prendere le parti dei combattenti ed agire segretamente di concerto con i tuoi fratelli Gesuiti che potrebbero essere coinvolti nell’altra fazione, ma apertamente opposti a quelli con i quali potresti essere connesso”.


Le Istruzioni Segrete Dei Gesuiti (1857) è stato ristampato nella sua interezza in Assassini Vaticani, di cui puoi scaricare (da qui: Vatican Assassins) una copia originale in inglese e in PDF.

Altre risorse: Testimonianza di Alberto Rivera. Citazioni storiche sui piani dei gesuiti. Il Cattolicesimo Romano: potere, guerre e sangue Il giuramento solenne dei Gesuiti al quarto voto. Aprirò i ventri ed i grembi delle loro donne ed infrangerò la testa dei loro figli sulle pareti, in vista del totale annichilimento della loro razza esecrabile…’ LA MANO DEI GESUITI SULLE AMERICHE

sabato 22 giugno 2013

Tregua fiscale per sopravvivere la crisi

Ciò che serve per sopravvivere la crisi è, anzitutto, una Tregua Fiscale

Nonostante la prepotenza con la quale la realtà urta e batte la già tragica condizione di recessione economica italiana (e dell'Europa tutta), idioti e parassiti insistono a ripetere sempre gli stessi luoghi comuni; la pressione fiscale viene messa sempre in qualche relazione con l'evasione fiscale; cioè, le cose vanno male, mancano i denari per fare gli acquisti, le imprese chiudono e i lavoratori vengono defenestrati, perché sarebbe colpa di "altri cittadini più furbi che non pagano le tasse".

Si vuole che siano i cittadini, alcuni, i responsabili dei danni fatti in trentacinque anni di lavoro per mettere in ginocchio l'economia italiana ed europea, e non i parassiti che sono in posizione chiave del potere o i moralisti ignoranti che riempiono di stronzate gli show televisivi. E però i dati sono difficili da reperire; non che siano nascosti, è solo che le informazioni critiche sono nascoste dalla esagerata visibilità della moltitudine di articoli e di dichiarazioni che vengono sfornate fresche tutti i giorni da suggeritori senza scrupoli e dai commentatori ignoranti che appaiono sistematicamente in televisione e sulla stampa.

Le masse popolari se ne vanno con l'articolo del giornale; ma di tutte le chiacchiere che stanno sotto l'articolo non rimane nulla in memoria. E non serve che rimanga. L'articolo basta: 


"Occorre ridurre la pressione fiscale sulle imprese attraverso una seria lotta all'evasione e la riduzione della spesa pubblica."

Sempre le stesse cazzate, a onta dei dati che insistono a creare disagio e dei commenti ingenui dei quelli che "siamo nell'Euro per non finire come l'Africa".

Il teorema sarebbe:

a) prima stavamo bene;
b) ora stiamo malissimo,
c) però, se non facessimo come facciamo, staremmo ancora peggio".

Aristotele, in questo ragionamento non vi seguirebbe.

a + b = meglio tornare come eravamo prima.

c =  

pressione fiscale al 53%,  
pressione fiscale sulle imprese è del 68,6%
nel 2012 sono state licenziate 1.027.462 anime, (secondo l'interpretazione confusa che i giornalisti del corriere danno sui dati del Ministero del lavoro, sezione denominata, chissà perché, "Sistema delle comunicazioni obbligatorie"),
nel 2012 sono state chiuse 104.000 imprese

secondo Eurostat, nel 2012 i disoccupati in Europa sono 25.068.000.

La pressione fiscale è misurata sulle imposte e sulle tasse effettivamente riscosse; la pressione fiscale sul pil è la più alta d'Europa; ma se si riesce già a prelevare sul pil il 70%, cos'altro mancherebbe da esigere? Solo il 30% del pil non viene sottratto dall'erario. A quanto ammonterebbe l'evasione? Con quanta parte di quel 30% si incentiverebbero i consumi, gli investimenti e si rilancerebbe l'economia?

Tregua fiscale e paradisi fiscali


I paradisi fiscali favoriscono il movimento dei capitali e offrono incentivi per accumulare ulteriore accrescimento di ricchezza. Qualunque nuova imposta, ed ogni aumento di un'imposta esistente, ha un duplice effetto distruttivo. Anziché combattere la competizione fiscale, non ci sarebbe altro di più urgente da fare che limitare l'attuale oppressione fiscale: concedere una tregua fiscale per consentire una ripresa della crescita economica e il superamento della crisi.

La competizione NON è perniciosa; piuttosto, l’assenza di competizione, sì.
Lo stesso vale per la gestione della cosa pubblica, particolarmente per la gestione delle politiche fiscali. Nel tentativo di prevenire la competizione fiscale, l'OECD, o gli stati membri dell'Unione Europea, desiderano privare i cittadini del mondo della loro libertà di scegliere per sé stessi, o per le loro attività produttive, l'ordinamento fiscale che preferiscono. Per raggiungere lo scopo (un altro paradosso) lo Stato cerca di formare cartelli pubblici internazionali mentre pretende di combattere i cartelli privati. Ma il cartello privato potrebbe anche non essere permanentemente dannoso se certe libertà produttive, cioè di competizione, fossero rese possibili. Ecco perché, più spesso di quanto non si creda, i cartelli privati sono persino vantaggiosi e tendono a soddisfare meglio le esigenze specifiche dei clienti. Altresì, i cartelli pubblici, che sono esplicitamente creati per impedire la competizione, è inevitabile che siano rovinosi, come pure, purtroppo, durevoli.

Inibendo la competizione fiscale, per esempio cercando di armonizzare le politiche fiscali o facendo la guerra ai paradisi fiscali, gli stati ad alta imposizione fiscale, che in base al loro stesso sillogismo dovrebbero essere indicati come inferi fiscali, spogliano i loro cittadini di uno dei maggiori benefici della competizione: la possibilità di provare delle alternative. Come Friedrich Hayek spesso puntualizza, la competizione è un "processo di ricerca e di scoperta". In un mondo puramente immaginario di conoscenza perfetta, la competizione sarebbe certamente superflua, perché ciascuno saprebbe di già in principio quali sono le migliori soluzioni ai problemi. Ma non viviamo in un modo di questo tipo. Eppure questo è esattamente ciò che i paesi ad alta imposizione fiscale  vorrebbero darci a bere facendo la  guerra ai paradisi fiscali. Quelli propinano che le loro politiche fiscali sono le migliori possibili e che ogni competizione porterebbe ad una "corsa al ribasso verso il fondo".

Ma se le aliquote fiscali imposte negli inferi fiscali fossero ottimali, non si avrebbero le fughe di capitali. Per lungo tempo, drastici controlli sui tassi di cambio hanno consentito a molti stati di spogliare il capitale privato. Quegli Stati ad alta oppressione fiscale semplicemente non possono tollerare che i loro schiavi d'imposta tentino di scappare verso lidi più felici. Perché quelle aree non solo favoriscono il movimento dei capitali ma offrono incentivi per accumulare ulteriore accrescimento di ricchezza.
È triste doverlo riconoscere ma, nel contemporaneo contesto intellettuale, serve un gran coraggio per difendere le idee a favore delle libertà individuali e dei diritti universali. Eppure, esse sono basate su solide teorie economiche e su reali conoscenze del comportamento degli individui in società. Questa nota rappresenta gli elementi essenziali sul caso della competizione fiscale. Oltre a ciò, offre un nuovo e rimarchevole strumento con l'indice dell'oppressione fiscale. Ed è propriamente oppressione quella di cui parliamo.

Qualunque nuova imposta, ed ogni aumento di un'imposta esistente, ha un duplice effetto distruttivo

A) inibisce la spinta dei contribuenti ad agire e a produrre
B) vanifica l'incentivazione produttiva dei beneficiari della redistribuzione del reddito.

Questo penoso aspetto distruttivo dell'imposizione fiscale giustifica pienamente lo sforzo di valutare l'oppressione fiscale: anziché combattere la competizione fiscale, non ci sarebbe altro di più urgente da fare che limitare l'attuale oppressione fiscale.



Dell'assegnazione dell'attributo: paradiso fiscale
L’OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, (traduzione impropria di OECD) è l’ente più qualificato per determinare i criteri di assegnazione ad uno Stato del termine paradiso fiscale e per stilare una lista ufficiale, generalmente presa per buona, dei paradisi fiscali. Tutte le altre fonti d’informazione, fatta eccezione per l’Ufficio delle Entrate Erariali Italiano - che è capace di produrre elucubrazioni anche più creative, articolate e fantasiose - , attingono da lì, e cioè dall' OECD-OCSE.
OECD è uno dei tanti acronimi che aiutano a semplificare e a  confondere il lavoro delle menti pigre e suggestionabili degli organi di stampa privilegiati; OECD sta per Organization for Economic Co-operation and Development; il significato è leggermente diverso da quello indicato nella traduzione italiana riferita all’OCSE. E cioè, significa Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (economico anch’esso presumibilmente).

Elementi sui Paradisi fiscali e sugli inferi fiscali: la competizione fiscale
Viviamo in un tempo animato da paradossi. Ma, più spesso di quanto sembri, questi paradossi originano dagli abusi degli Enti di Stato. Gli Stati dichiarano di implementare politiche sulla libera competizione in modo da poter imporre la libera competizione ai produttori privati. Tuttavia, la competizione non è altro di più che la libertà di agire, la libertà di fare cose diverse da altri. Perciò è già paradossale per definizione la volontà di imporre libertà o ambiti di libertà.
Ed è anche più paradossale che questi medesimi Stati non vogliano conformare anche loro stessi alle regole che dichiarano di imporre ad altri soggetti. Fanno la guerra contro la competizione fiscale, recitando falsamente che la competizione fiscale sia controproducente (e questo è un concetto proposto proprio da OECD, incurante della neutralità che un simile istituto dovrebbe essere votato a praticare e del più elementare senso di onestà). Come può uno argomentare a favore dell'idea che la libertà di agire e di decidere per conto proprio sia perniciosa e controproducente?
Dichiaratamente, quando un produttore privato vede arrivare un concorrente in grado di offrire prodotti migliori a prezzi più bassi, egli teme di perdere clienti e che tale competizione possa essere dannosa per lui. Quegli potrebbe essere tentato, contro ogni logica e senso morale, a denunciare tale competizione (competizione che probabilmente chiamerà "sleale") e a cercare l'intervento della coercizione dello Stato in modo da inibire la libertà dell'altro produttore di fare e vendere. Ovviamente, se le sue querele vengono ascoltate e se uno Stato impianta le protezioni necessarie per permettergli di continuare ad offrire prodotti meno soddisfacenti per i suoi clienti, rispetto a quelli del suo concorrente, allora ci saranno delle vittime; precisamente, i consumatori, che verranno privati da potenziali vantaggi, e gli altri produttori concorrenti, che saranno privati di un mercato naturale. È quindi vero l'opposto di ciò che tendono a mescere quegli Stati che fan la guerra alla competizione fiscale e ai paradisi fiscali: la competizione NON è perniciosa; piuttosto, l'assenza di competizione, sì, lo è.

Competizione fiscale funesta

 A prescindere dal ragionamento sul se l'aumento della spesa pubblica gestito per combattere la recessione sia una manovra appropriata oppure no, è da ricordare che l'OECD aveva già pubblicato il suo primo rapporto sulla "competizione fiscale funesta" nel 1998, su richiesta, due anni prima, dei paesi ad alta imposizione fiscale. L'obiettivo di codesti governi, era esplicitamente quello di inibire la libertà di movimento dei capitali reprimendo il ruolo della competizione fiscale "sugli investimenti, sulle decisioni finanziarie e le conseguenze per la base d'imposta nazionale". Subito dopo questo rapportino, l'OECD adottò una raccomandazione sulla "guerra contro pratiche fiscali perniciose", sulla quale due membri fondatori dell'organizzazione, Svizzera e Lussemburgo, si sono astenuti. Queste due nazioni, tuttavia, avrebbero potuto porre il loro veto e conseguentemente prevenuto l'intensificazione di questo conflitto; l'esito del conflitto ora lo conosciamo: esso include, contro la loro volontà, diversi stati originariamente contrari, e fortemente contrari, alle conclusioni del rapporto che hanno loro malgrado ceduto alle pressioni politiche internazionali. In particolare, quelle raccomandazioni OECD di cui si parlava di sopra, hanno istituito il "Forum sulle pratiche fiscali nocive" (Forum on Harmful Tax Practices) il cui scopo essenziale è quello di far pressione sugli stati ritenuti "in difetto" e di riferire periodicamente sui risultati di questo suo ingrato lavoro. Contemporaneamente, l'Unione Europea ha sposato questa sciagurata causa contro la "competizione fiscale nociva" con l'obiettivo reale di avanzare lo stato di centralizzazione del controllo fiscale a livello europeo. (Vedi: Pierre Bessard, “Das europäische Steuerkartell und die Rolle der Schweiz”, Liberales Institut, 2008). Dopo il vertice G20, la Commissione Europea avanzò diverse misure per intensificare lo scambio d'informazioni fra stati e incoraggiare la cosiddetta "competizione fiscale leale", dichiarando che: "con la crisi finanziaria, è necessario che i governi nazionali salvaguardino i loro introiti fiscali più che mai"(vedi: European Commission, “Taxation and Good governance..April 28, 2009"). La Commissione raccomanda soprattutto di discutere contromisure nei confronti delle "giurisdizioni non collaborative in ambito d'imposizione fiscale" svergognate nelle liste multicolori del segretario dell'OECD. Considerando l'esteso indebitamento dello stato sociale a livello europeo e le promesse non finanziate dei futuri pensionamenti, il piano di contromisure contro i paradisi fiscali non dovrebbe sorprendere. Attualmente, la spesa per il non riformato sistema di redistribuzione sociale rappresenta più della metà della spesa pubblica degli stati OECD e più di un quarto del PIL (28,5% in Francia e 27,4% in Germania, per esempio). Il costo della mancata riforma del sistema sociale è considerato una pericolosa bomba a orologeria (vedi il rapporto IMF sullo stato della finanza pubblica 6/3/2009). Eppure l'OECD, assieme agli stati ad alta oppressione fiscale, alimentano il loro delirio squalificando l'ottimizzazione fiscale e rappresentandola come un ostacolo al finanziamento dei servizi pubblici, come per esempio la scuola, dove tutti faremmo bene a ritornare. Ed ecco che la spesa pubblica per l'istruzione ammonta ad appena il 5,8% del PIL nei paesi OECD (5,1% in Germania e 6% in Francia - vedi data base di OECD, 2008), che è un quarto della spesa per la sanità. Questi rapporti sottolineano la demagogia delle argomentazioni somministrate dai rappresentanti delle élite al potere sul "finanziamento della spesa per l'istruzione" per screditare i paradisi fiscali; ed è demagogia ben evidente. Questo documento rivaluta la guerra dell'OECD contro la cosiddetta "competizione fiscale nociva" e i cosiddetti paradisi fiscali, con la prospettiva della società civile, e dimostra che gli unici beneficiari della guerra ai paradisi fiscali sono gli stati ad alta oppressione fiscale non riformati a discapito dei loro cittadini e della loro prosperità. Lo studio quantifica con i criteri indicati di sopra, l'indice del livello di oppressione fiscale, il carico degli oneri fiscali, il peso dato alla legittimità del sistema fiscale e il livello di protezione del diritto alla riservatezza nei 30 paesi membri dell'OECD.

Tuttavia, nonostante la potente opera di propaganda e l'iniquità dell'oppressione fiscale sui cittadini contribuenti, esistono ancora limitati spazi di libertà o di autonomia possibile. È infatti abbordabile anche per i mortali, e per i comuni contribuenti, l'equo tentativo di preservare parte del personale risparmio e della personale ricchezza dall'oppressione fiscale; per il momento, infatti, non vi sono limitazioni concrete all'apertura di conti offshore e alla costituzione di società offshore in nazioni felici chiamate "paradisi fiscali".
Aprire società offshore nei paradisi fiscali di Hong Kong, Samoa, Isole Vergini Britanniche, Seychelles e Isole Marshall, è un'opportunità di salvezza per il futuro dell'imprenditore onesto che vuole sopravvivere e tenta di salvare il salvabile dall'esagerata ed iniqua imposizione fiscale. I vantaggi nell'aprire società offshore nei paradisi fiscali sono semplici e perfettamente legali: esenzione fiscale, contabilità semplificata, procedure rapide e flessibili, nessun obbligo sulla nomina di collegi sindacali, tutela della libertà della riservatezza bancaria.





venerdì 21 giugno 2013

Finanza internazionale: droga, petrolio, Wall Street

Il sistema finanziario  

Come funziona la finanza internazionale: le relazioni fra droga, petrolio e Wall Street. Il fulcro di tutta la finanza internazionale è sempre correlato con le attività che si svolgono a Wall Street, in New York (N.Y.) USA.


Cos’è Wall Street?
Le compagnie petrolifere, le banche, le industrie automobilistiche, l’industria informatica, eccetera, tutte, negoziano i loro titoli a Wall Street; al NYSE (New York Stock Exchange) o al NASDAQ, o all’American Stock Exchange. E, tutte, negoziano anche obbligazioni presso quegli stessi mercati finanziari.



Le azioni (Shares of stock) sono titoli che rappresentano quote (frazioni) di proprietà delle aziende e ne rappresentano il patrimonio netto. Le obbligazioni (bonds) sono espressioni del finanziamento dell’azienda e rappresentano il suo debito. Le imprese aumentano il capitale per costruire raffinerie o per scavare pozzi petroliferi, e lo fanno sia reinvestendo i loro profitti, che vendendo azioni, che emettendo obbligazioni. Le fonti ortodosse di autofinanziamento dell’impresa sono quindi fondamentalmente tre: il reinvestimento degli utili, la vendita di titoli azionari e l’emissione di titoli obbligazionari. Ci sono poi altre strade per alzare fondi di cui non si parla apertamente.
 
Più alto è il prezzo delle azioni di una compagnia, maggiore è la sua disponibilità di capitali per l’acquisto di materie prime, per la costruzione di impianti o di raffinerie, per la distribuzione dei dividendi agli azionisti – o per la spartizione a porte chiuse fra i dirigenti -  e, in alcuni casi, rarissimi, anche per distribuire premi agli impiegati.


CBOE
Un altro componente chiave, negli scambi sui mercati finanziari internazionali, è il Chicago Board Option Exhange (CBOE). È qui che i “futures derivatives” (futures su prodotti derivati) come per esempio i “put and call“, vengono smerciati. I derivati sono strumenti cosiddetti “finanziari” che non hanno nessun valore diretto in e di per sé stessi; essi fanno derivare il proprio valore da altre cose o fatti che hanno valore. I Puts and calls sono sostanzialmente scommesse sul prezzo di altri titoli; si scommette che il prezzo salga o che crolli ad una certa data futura. I membri del NYSE e del CBOE sono regolarmente in contatto fra loro e si controllano reciprocamente le negoziazioni. Lo stesso accade fra l’American Stock Exchange e il NASDAQ, che è di più recente costituzione ed è un ente privato di negoziazione valori.

Il Vantaggio competitivo
Per come funziona il mondo economico occidentale, semplici vantaggi competitivi possono determinare grandi differenze. Negli affari, il vantaggio può essere cercato ed ottenuto in varie forme. La prima è la gestione delle informazioni (quella che impropriamente e grossolanamente viene definita “intelligence” e che non ha niente a che vedere con l’intelligenza); si cerca di raccogliere inforamzioni per rispondere a domande più o meno come queste: “cosa vuole il mercato? Cosa fa la concorrenza? C’è qualcuno in grado di offrire un prezzo più alto del nostro per comprare l’impresa di Tizio? Qualcuno ha un prodotto più efficiente o un processo più evoluto? Quanto è prossima la concorrenza a mettere i suoi prodotti sul mercato? Possiamo permetterci di investire 250 milioni di dollari in una raffineria se Caio Oil e Sempronio Neft stanno per acquisire i diritti sui giacimenti che stiamo puntando noi? Chi andrà a costruire la conduttura per la raffineria? Quanto la faranno pagare per renderla profittevole? C’è qualche debolezza della concorrenza che possiamo sfruttare per ottenere un vantaggio?”

 
La seconda è il denaro in sé stesso.
Secondo Catherine Austin Fitts (ex managing director del Wall Street investment bank Dillon Read, che ha un MBA dal Wharton School of Business, ed era Assistant Secretary of Housing), “coloro i quali ottengono il minor costo del denaro – il minor costo del capitale investito – vincono”.



La valutazione del credito per il minor costo del denaro
Se hai finanziato l’acquisto di un’auto o di una casa con un prestito, è certo che il tuo credito è stato valutato. È la valutazione del tuo credito, e l’ammontare dell’anticipo versato, che determinano quanto sarà la rata mensile da pagare alla banca. Non è diverso, per esempio, quando ExxonMobil vuole finanziare una nuova raffineria e lo vuole fare con denaro preso a prestito. Lo chiamano “laveraged buyout, o LBO. Facciamo un’ipotesi teorica. Se finanzi l’acquisto dell’auto dal costo di € 24.000 e anticipi € 4.000 in contanti, supponendo il caso che le tue garanzie siano buone, la concessionaria della tua banca ti finanzierà €20.000 al 5% di interesse per quattro anni. La rata mensile da pagare alla banca sarà, in questo caso, di €460,60. Tuttavia, se si giudica che le tue garanzie non sono molto buone, allora potrebbero caricarti un 10% d’interesse e andresti a pagare una rata mensile di €514,49.

Su questa stessa premessa, diciamo che tu sia Chevron Texaco (e che ti strofini spesso sul culo nero di Condoleezza Rice la quale, quando era consigliere per la sicurezza nazionale statunitense, sedeva a quello stesso consiglio di amministrazione, assieme a te) e che vuoi finanziare un condotto petrolifero per le tue raffinerie. Il costo del condotto è stimato in 2 miliardi di dollari. Tu decidi di metterci 300 milioni, che appartengono al patrimonio di Chevron. Poi formi un consorzio con altre compagnie petrolifere per dividere le spese. E però non riuscite a raccogliere tutta la somma che serve. Non è un buon affare. L’affare del petrolio è qualcosa di rischioso. Le compagnie petrolifere spesso si tengono a prudente distanza finanziaria dai fatti del petrolio, per proteggersi in caso di crisi internazionali, crolli di prezzi, o nel caso in cui un giacimento particolare al quale sono interessate si rivela un bidone.
(C’è un aneddoto che illustra il concetto. il primo pozzo in terraferma del Kazakhstan, in Kashagan, appartenente ad un consorzio comprendente Agip, British Gas, ExxonMobil, Shell, Total, BP, Phillips e altri, è costato 300 milioni di dollari al tempo in cui la sua realizzazione è stata compiuta. Ma come si faceva se quel pozzo si rivelava un inutile, secco incendiato, buco nell’arida terra? Ci si trovava in una situazione in cui non c’erano entrate in corrispondenza del costante e intenso costo del capitale. Le compagnie petrolifere pianificano per queste contingenze molto in anticipo. Sono in affari da almeno un centinaio d’anni e hanno avuto un sacco di tempo per fare studi contabili di convenienza).
Così, dopo aver fatto le vostre analisi, tu e il tuo consorzio realizzate che vi serve un miliardo di dollari a prestito per finanziare il vostro condotto. Decidete di ammortizzare il pagamento in 20 anni che coincidono con l’aspettativa di vita di quell’impianto. Ora si tratta di trovare il prestito alle migliori condizioni. 

Le banche internazionali
Le maggiori banche a livello mondiale, la HSBC, la Deutsche Bank o la JP Morgan Chase potrebbero offrirti un tasso d’interesse, diciamo, del 9%. Per ripagare il miliardo in 20 anni al 9% d’interesse, il tuo pagamento mensile alla banca sarà di 917 mila dollari. Ma, se il tasso d’interesse fosse del 6%, la rata mensile da pagare alla banca scenderebbe a 717,440 dollari al mese. Cioè, la tua impresa avrebbe 200,560 dollari di profitto extra ogni mese semplicemente rosicchiando il tasso d’interesse sul debito. Questo ha un impatto diretto sull’utile netto, che è definito dalla differenza fra i ricavi lordi e i costi di gestione. E qui è il dove, dove il costo del capitale – il costo del denaro – diventa un fattore interessante nella gestione dell’impresa.
 
Capitalizzazione di mercato e utile netto. “The pop” (P/E ratio)
Un rapporto Prezzo/Utili (“the pop”, o P/E = Price-to-earning ratio) per ciascuna azione è calcolato in base a due fattori elementari: la capitalizzazione di mercato di una società e il suo utile netto.

La capitalizzazione di mercato (“market capitalization”) è semplicemente il numero totale di azioni in circolazione moltiplicato per il loro prezzo di mercato di un dato momento. (Per esempio, se l’ing. Luca Marognolli avesse – magari – un’azienda quotata in borsa il cui capitale è rappresentato da 1000 azioni, ciascuna azione venduta a 100 dollari, in base al prezzo attribuito dal mercato in quel dato momento, il valore di capitalizzazione di mercato della sua impresa sarebbe di 100 mila dollari).
L’utile netto, come abbiamo visto, è semplicemente la differenza fra i ricavi lordi e i costi di gestione. Così, se hai un’impresa che porta guadagni per 100 mila e i tuoi costi per la produzione, la promozione, la vendita e le spese generali ammontano a 80 mila, i tuoi profitti netti (utile netto) saranno di 20 mila.
 
Quali numeri posso truccare?
La cosa importante da notare è che il valore della capitalizzazione di mercato non è un dato sul quale si possa mentire. È lì, esposto, per chiunque lo voglia verificare. Gli utili netti, altresì, sono cosa totalmente diversa. E questo ci è stato bene insegnato da Enron, WorldCom e da altre aziende giganti. Ora, se hai un’impresa con un valore di capitalizzazione di mercato di 300 milioni di dollari, e utili netti per 10 milioni, il tuo rapporto Prezzo/Utili (P/E) sarebbe di 30/1. Molti analisti finanziari, generalmente sobri, hanno già stabilito in passato che un sano rapporto P/E è di circa 15/1. Ecco perché chi beve meno spesso scuote la testa scettico quando guarda a compagnie come Enron, che aveva un P/E di 60 prima di crollare, o come Cisco System, che nel 2004 aveva un P/E di 90. E questo è anche un motivo che induce gli analisti sobri a credere che la media Dow Jones dovrebbe correttamente essere stimata attorno ai 5,000. Se la relazione fosse solo algebrica, sarebbe semplice creare 30 dollari di valore azionario: 30/1 = 60/2. Ma non succede così nella vita reale.

 
Aumentare o diminuire gli utili netti di un’impresa ha un effetto moltiplicatore sul valore di mercato delle azioni di quell’impresa L’analisi viene fatta costantemente sui profitti dichiarati da un’impresa. Quando si nota che i profitti di un’impresa salgono rapidamente, l’analista dovrebbe raccomandare l’acquisto delle sue azioni. Appena aumenta la domanda di quelle azioni, cioè appena queste iniziano ad essere acquistate, il loro prezzo sul mercato azionario dovrebbe crescere pressappoco fino al punto dello stimato P/E per quell’impresa. Aumentare o diminuire gli utili netti di un’impresa ha un impatto moltiplicatore sul valore di mercato delle azioni di quell’impresa. Tornando al nostro esempio E, allora, nel nostro scenario sul rastrellamento dei fondi per finanziare il condotto petrolifero, analizzando la differenza delle percentuali d’interesse fra un credito più affidabile di un altro, notiamo che 200,560 dollari di utile netto mensile in meno significano che, con un rapporto P/E di 60, in un anno si avrebbe $144,403,200 ($200,560 x 12 mesi x 60) di diminuzione del valore azionario complessivo. Il trucco sta nel trovare capitali ai tassi d’interesse più bassi.
Però, con un P/E di 30, essa sarebbe di $72,201,600. Questa è la ragione principale per la quale Wall Street controlla così da vicino ciò che fanno i dirigenti della Federal Reserve con i tassi d’interesse. Uno degli strumenti più efficaci per mantenere i profitti derivanti dalle negoziazioni dei titoli azionari è quello di trovare il capitale ai tassi d’interesse più bassi. Ciò accade anche nelle gare d’appalto, in cui le aziende decidono le loro offerte in base a quanto si possono permettere di ripagare agli enti finanziatori con le loro rate mensili “a strozzo“. E allora, “quello che ha il costo del capitale più basso vince“. E l’ipotesi più desiderabile è quella in cui si ottiene il capitale a costo zero, cioè, senza pagarci sù nessun interesse; ancora più desiderabile sarebbe l’ipotesi in cui esso fosse raccolto in qualche modo a scrocco, senza bisogno di restituirlo.


Trovare capitali a buon mercato è il trucco, come trovare il petrolio a buon mercato; sapere dove sono i denari e come funziona la circolazione della moneta. Ma il capitale grosso non sempre annuncia e divulga a tutti le sue coordinate e la sua posizione. Ecco perché non tutti sanno dove andare a prendere il capitale grosso a basso costo, o a costo zero, e, quelli che lo sanno, sono specializzati nel gestirne a porte chiuse la raccolta.

La CIA è Wall Street e Wall Street è la CIA.
Nell’immaginario tratto dalla puerile trasposizione dei romanzi di Ian Fleming su James Bond 007, gli agenti segreti, e le spie in genere, sono visti come personaggi atletici, in grado di scalare montagne, pilotare elicotteri, jet militari, talvolta astronavi, e di salvare, sistematicamente, il mondo dalle catastrofi ordite da pazzi criminali con manie d’onnipotenza. Tuttavia, se andiamo a conoscere i principali dirigenti nella storia della CIA, e la loro competente relazione con il motore finanziario statunitense, e con la finanza internazionale, ci rendiamo conto che sono tutti mezze-maniche, colletti bianchi, analisti, amministrativi, specializzati in affari legali e gestionali, e non somigliano neppure lontanamente ai super-eroi in smoking, quelli alti, belli, con il Martini tenuto stretto nella mano sinistra e la vulva bagnata di giovani meretrici arraffata con la destra, sempre così impropriamente vincenti al tavolo del casinò.

 
Ecco l’elenco dei dirigenti di punta della finanza internazionale.
 
1) Clark Clifford è quello che ha scritto il “The National Security Act” , con il quale veniva formalmente istituita la CIA, nel 1947. Dirigente del Partito democratico, segretario alla difesa, consigliere del presidente Harry Truman. Che mestiere faceva Clark Clifford? Era avvocato e banchiere di Wall Street.
 
2) John Foster e Allen Dulles: i due gemelli che hanno disegnato l’architettura della CIA per Clifford. Attivi entrambi in operazioni di spionaggio durante la seconda guerra mondiale. Allen Dulles era a capo della organizzazione spionistica OSS (Office of Strategic Services) in Svizzera, dove s’incontrava frequentemente con i leader nazisti e curava gli investimenti americani in Germania. Aveva anche un contratto di dirigenza con Standard Oil. John Foster divenne segretario di stato sotto Eisenhower e Allen diresse la CIA sotto Ike, fino a che non venne licenziato da JFK dopo l’aborto dell’invasione di Cuba del 1961 (Vedi la buttonata sulla: Baia dei porci). Quale era la professione di Foster e Dulles? Entrambi erano affiliati nel più potente, anche ai giorni nostri, studio legale di Wall Street: Sullivan & Cromwell. Enron era solo uno dei clienti di Sullivan & Cromwell, ed impiegava una dozzina di ex agenti CIA  prima di cadere in disgrazia. Altri clienti dello studio legale sono: AIG, Global Crossing, ImClone, Martha Stewart e l’Harvard Endowment.
 
3) Bill Casey, direttore CIA ai tempi di Reagan, ex OSS, capo attaccabrighe sotto copertura durante gli anni Iran-Contra, era stato, nell’amministrazione Nixon, presidente della “Securities and Exchange Commission
 
4) Stanley Sporkin. Sporkin servì come consigliere generale della CIA sotto Casey. Ma nei 20 anni che precedono quell’incarico, servì anche lui la “Securities and Exchange Commission“. Dopo essersi ritirato dalla sua posizione di consigliere generale della CIA nel 1986, Sporkin venne nominato giudice distrettuale in Washington, DC, e presiedette ad alcune fra le vertenze più bollenti (inclusa quella di Microsoft) della nazione americana. Dimessosi da quella carica nel 2000, riprese a lavorare a Wall Street per uno studio legale che appartiene a Weill, Gotschall e Manges, con la specializzazione, da lui stesso attribuitasi, in “Wall Street Management and Capital. Il caso vuole che Weill, Gotschall e Manges sono proprio gli attuali curatori fallimentari per la bancarotta di Enron.
 
5) David Doherty, sostituì Sporkin come consigliere generale CIA nel 1987, era, almeno fino al 2004, l’attuale vice presidente del New York Stock Exchange.
 
6) A. B. “Buzzy” Krongard, prima di unirsi alla CIA, nel 1998, era stato il presidente di una banca d’investimento, la Alex Brown.
 
7) John Deutch. Deutch si ritirò dalla direzione della CIA nel dicembre del 1996. Gli venne immediatamente offerta la poltrona nel consiglio di amministrazione di Citigroup, il secondo gruppo bancario a livello nazionale negli USA, costantemente infognata negli scandali sul riciclaggio di denaro proveniente dal narcotraffico (fra i quali l’acquisto della banca messicana Banamex, nel 2001, famosa per le sue operazioni di riciclaggio a livello internazionale.
 
8) Maurice “Hank” Greenberg, presidente di AIG (American International Group), assicuratore e manager del terzo serbatoio mondiale di capitali per investimenti, venne ventilato come possibile direttore CIA da Bill Clinton nel 1995. Ma la lunga storia di Greenberg, di AIG, il traffico di droga della CIA, e gli altri scandali, tesero a rallentare la sua procedura di nomina e tutto il battibecco venne poi interrotto dalle demolizioni, controllate e autogestite, delle tre torri gemelle di New York, quell’11 settembre 2001.
Si può iniziare ad intuire come funziona il sistema finanziario internazionale leggendo le analisi di Michael Ruppert. Una prima sintesi di queste sue analisi, frutto di decadi di ricerca ed investigazione, si trova in Crossing the Rubicon. Se vuoi approfondire il rapporto Wall Street-droga-petrolio, leggiti il saggio di Michael Ruppert: “Crossing the Rubicon“, puoi scaricare il pdf in lingua inglese, gratis, dalla bibliografia che trovi sulla pagina delle guide.

 Torneremo più avanti al tuo condotto petrolifero, per la tua raffineria e al costo del suo capitale, alla valutazione del credito per il minor costo del denaro, il “laveraged buyout, o LBO.
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